Lettera 14. Mondo della libertà, mondo dell’amore. Napoli e New York a confronto

Più volte mi sono presentato come l’unico “napoletano” nato a Milano da genitori milanesi.

Mi avvalgo quindi di una napoletanità ad honorem. Ma vediamo perché:

il mio amico Luciano De Crescenzo, nel suo primo libro “Così parlò Bellavista – Napoli amore e libertà“, che conseguì un enorme successo e fu tradotto in decine di lingue, presenta un gruppetto di persone capitanate dal professor Bellavista, il quale spiega ai suoi attenti ascoltatori come, per capire la realtà “Napoli”, sia necessario conoscere la sua teoria dell’Amore e della Libertà: senza questa è assai difficile discernere i meriti dai demeriti del modus vivendi squisitamente partenopeo. Ma alla domanda “Ma è proprio sua questa teoria, professore?” Luciano/Bellavista risponde: “Veramente il primo a parlarmi di amore e libertà fu un mio amico di Milano: Giancarlo Galli. …”. Questo è scritto a pagina 53 alla riga 10 della edizione italiana ma anche nelle due o tre edizioni in lingua straniera che mi è capitato di trovare e quindi penso anche in tutte le altre. Mi ritengo, trattandosi di più di un milione di copie, meritevole del titolo che mi sono attribuito.

Ma cosa era veramente accaduto? Io, di ritorno da un viaggio di lavoro a New York, ero andato a trovare Luciano, nel suo meraviglioso ufficio IBM di Roma dove, sulla sua scrivania, troneggiava il calco di San Gennaro in vesti vescovili e sulle pareti una gigantografia di Napoli colorata a mano. Il clima prodotto da questo gentile ambiente mi aveva spinto a pontificare sulle mie esperienze nella città americana: In questa città, da tutti considerata come il centro della “libertà” nel mondo, bisogna fare attenzione a non prendersi delle libertà che in Italia sarebbero comunemente accettate. Nell’ambiente di lavoro esiste solo il lavoro. Mi accadde che, durante l’intervallo di mezzogiorno passato in un bar nelle vicinanze dell’ufficio, chiesi ad un australiano che mi faceva da tutor se si sarebbe potuto mangiare in compagnia delle segretarie. Mi aveva risposto che non sarebbe stato gradito ai superiori, perché l’intervallo era comunque considerato parte dell’orario di lavoro. Nostro malgrado, ci sedemmo dunque in solitudine maschile e quando, per accompagnare il pasto, mi accinsi a chiedere del vino, il mio tutor mi fece capire che anche il vino – al pari di quello delle segretarie – era un argomento tabù. Ritornai tristemente al lavoro quando, verso le cinque e mezzo, ora in cui in Italia iniziano a scaldarsi le nostre capacità lavorative, mi accorsi di un certo fermento che vivificava l’ambiente. Poco dopo il tutor mi chiese di seguirlo, perché la giornata era terminata, e ci trovammo al bar dove, a mezzogiorno, mi era stato consigliato di non bere il vino, e sul bancone notai allineati una ventina di bicchieroni colmi di birra, ai quali si stavano abbeverando tutti i componenti maschili dell’ufficio. Io, non abituato a quelle quantità, mi affrettai a ingoiare la mia razione avendo capito che l’invito era importante ed acconsentirvi mi avrebbe facilitato l’inserimento nel gruppo.

Dopo aver gaudiosamente bevuto, con un mio collega anch’esso giunto con me dall’Italia, cercammo un collega napoletano, “esperto” delle abitudini del luogo poiché già da qualche anno in America, al fine di averne la consulenza a proposito di alcuni argomenti a noi molto a cuore. Gli chiedemmo quale fosse la ”strategia” da seguire per corteggiare le ragazze. Il suggerimento fu il seguente: “Nessun problema. Sceglietene una che si confaccia ai vostri gusti, anche dell’ufficio, e invitatela durante un week-end“. Al che, noi, contrariati: “Veramente noi abbiamo già invitato due ragazze per il prossimo sabato e domenica, ma ci hanno risposto con un sorriso negativo”. Allora egli ci spiegò: “Vi hanno detto “no” solo perché hanno così paura di restare sole che sono già impegnate per i prossimi due week-end, ma sicuramente fino a venerdì non impegneranno il terzo (in attesa di un invito favorevole), e voi essendo giovani, belli e italiani dovreste far parte del numero dei preferiti”. Noi, ormai sconfortati: “Ma noi stiamo qui solo 15 giorni!”. Egli concluse con una battuta: “Beh, in questo caso dovevate inviare un telex“.

Poi, visto il nostro sconforto, continuò, per tentare un salvataggio della situazione in extremis: “In un caso così disperato andate in centro città, entrate in un bar, scegliete un posto vicino ad una donna, mettete un mucchietto di dollari sul banco davanti a voi facendo attenzione a non bere troppo, perché il barman vi riempirà il bicchiere ogni volta che lo vuotate, e attendete che lei, ubriaca, cada a sinistra o a destra. Se per caso cade dalla vostra parte quella notte di certo ve la porterete a letto. Abbiate, però, l’accortezza di portarla nel vostro albergo, altrimenti al risveglio al mattino a casa sua, accorgendosi che parlate male l’americano, chiamerà la polizia”.

Quella sera non riuscimmo a centrare l’obbiettivo, ma facemmo degli incontri che mi permisero, in seguito, di completare le mie osservazioni sul mondo della Libertà e il mondo dell’Amore.

Mentre io e il mio amico cicaleggiavamo parlando a voce alta, come nostra abitudine, in italiano, seduti in un bar in attesa di fare incontri incoraggianti, si avvicinò un signore americano il quale cominciò a conversare con noi in un italiano perfetto. Quando gli chiedemmo se era venuto in Italia per imparare la lingua, ci confidò che non conosceva il nostro paese; ma più tardi nella serata, con l’aiuto di qualche bicchiere di vino italiano ed entrando sempre più in confidenza, scoprimmo che, essendo un pilota, l’Italia lui l’aveva vista durante la guerra dagli aerei alleati che venivano a bombardarla. Egli mostrò un sentito dispiacere nel ricordare gli atti disdicevoli compiuti da alcuni suoi colleghi a danno della nostra patria. Noi lo rassicurammo, spiegando come gli italiani, avendo presto dimenticato quanto di male gli americani potevano avere fatto, ancor’oggi li considerino i “liberatori”.

Nel nostro girovagare speranzosi di fare conoscenze interessanti, incontrammo diversi italiani emigrati non tutti felici della loro vita negli Stati Uniti. Soprattutto ci impressionò la sintetica lucidità di un calabrese, il quale mostrava una forte volontà di mettere radici a New York ed aveva chiara in mente la strategia migliore da seguire: “Se voglio avviare una Società mi sposo con una donna di qui; ma se voglio sposarmi per “amore” scrivo ai miei in Calabria e mi faccio inviare una ragazza del paese scelta da loro!”.

Finimmo la serata contrattando con due signorine costi e procedure per un appuntamento notturno e scoprimmo, con enorme sorpresa, la possibilità che questo avesse luogo nel nostro albergo. Le signorine ci assicuravano che non c’era alcun controllo da parte dei portieri e loro avevano via libera per raggiungerci nelle nostre stanze.

Capimmo perché, prima di entrare nei grossi ascensori dell’albergo, due specchi posti all’interno lateralmente permettevano di controllare la presenza di un eventuale malavitoso e soprattutto, entrati in camera, su un biglietto bene in evidenza sopra il cuscino, la direzione dell’hotel ci ricordava di chiudere la stanza; non con la chiave ma con il più sicuro chiavistello: “libertà” non si sposava facilmente con “sicurezza”.

Nella conversazione con De Crescenzo, non avendo io in mente allora nessuna teoria, devo aver indicato l’esistenza di due mondi: uno della libertà, l’altro dell’amore, dai quali derivavano personaggi molto diversi, e rappresentati, rispettivamente, dalle città di New York e Napoli. Luciano, al contrario, aveva in mente detta teoria molto più precisamente, con tanto di rappresentazione su ascisse e ordinate, inoltre magnificamente spiegata nel suo libro, tuttavia definita in modo comprensibile forse nella sola Napoli: uno era il mondo degli “alberisti” (intendendo chi, gioioso, addobba l’albero di Natale con luci e dolci), l’altro dei “presepisti” (che preparano il presepe con pazienza e amore). La definizione “alberisti” e “presepisti” era certamente più significativa; la mia, “amore” e “libertà”, poteva dare adito a incomprensioni ma era sicuramente più mediatica; pertanto la scelta di Luciano cadde sulla seconda, il che probabilmente favorì il successo editoriale mondiale di “Così parlò Bellavista – Napoli, amore e libertà”.

Ai lettori delle mie lettere (in particolare lettera 7 e lettera 9), le parole “Amore” e “Libertà”, associate a “Produttività”, sono note: una teoria simile frulla oggi anche nella mia testa. Io penso che ci siano periodi storici in cui, in alcune zone del mondo, si verificano le condizioni che permettono il nascere dell’uno o dell’altro mondo, alternativamente. Io definisco “mondo della libertà” il mondo che nasce dalle ceneri di un precedente “mondo dell’amore”: esso si sviluppa perché ha in sé una “conoscenza” nuova, necessaria all’evoluzione della specie. Col passare del tempo questa conoscenza diviene fine a se stessa, in virtù di una sorta di processo di auto-divinizzazione di una portata tale da cancellare, perfino, l’interesse degli uomini verso gli Dei. Questo mondo si sviluppa esponenzialmente fino ad implodere su se stesso; dalle sue ceneri rinasce, come fenice, un nuovo “mondo dell’amore” portatore della nuova conoscenza (quella sviluppatasi nel mondo della libertà), messa questa volta al servizio dell’uomo, restituendo gli Dei alla loro originaria dimora: il cielo. Il mondo Romano può essere un esempio di mondo della libertà: nei territori facenti parte dell’Impero la vita, nel giro di qualche anno, andava modificandosi completamente, venivano assunti i valori amministrativi e militari per la conduzione dello stato, i quali in parte costituiscono la base del diritto degli odierni stati europei. Mi rifaccio alla fantasia di Fellini: durante la proiezione del film “Satiricon Fellini”, che analizza la fine del mondo romano della libertà, mi chiedevo dove avessi già visto i personaggi che scorrevano nelle immagini del film. Al termine dello spettacolo, all’accensione delle luci in sala, compresi che i protagonisti del film erano gli spettatori stessi seduti intorno a me. Dopo Fellini, chiedo aiuto, perché mi si comprenda meglio, a Pasolini:

Io, per me , sono anti clericale, ma so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo; io con i miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono mio patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me”.

Io ritengo che proprio nelle chiese costruite dai cristiani in Europa, si sia andata via via costituendo la società dell’amore che ha filtrato le conoscenze veicolate dal mondo greco e poi da quello romano. Nel film “Roma” sempre Fellini ci ha mostrato l’esito finale del processo di sviluppo di questo “mondo dell’amore” attraverso due allegorie: la folle sfilata di modelli su pattini a rotelle indossanti vestiti sacerdotali, a simboleggiare la stagnazione dei valori; con la presenza dei motociclisti, invece, ha simboleggiato la possibile nascita di una nuova società ancora informe e indeterminata.

Continuiamo ad affidarci alla fantasia di Fellini. Egli mostrò in modo originale, nel film “Casanova Fellini”, le cause di una possibile ripartenza di un nuovo mondo della libertà e nel successivo film, “La città delle donne”, quale tipo di società della libertà si sia costituita grazie ai comportamenti sviluppatisi nel primo film. Nei due films si svolge un gioco fra il potere delle donne e quello degli uomini. Il personaggio Casanova nel film dichiara all’incirca: “la donna vale molto ed è buona nell’accettare gli atteggiamenti prevaricatori degli uomini”. Egli quindi si impegna a dare una nuova dignità alle donne migliorando la qualità dell’orgasmo femminile, obbiettivo che a quei tempi non aveva grandi proseliti nel mondo maschile. Ma nel film successivo il regista-poeta vede, a seguito dell’acquisito potere delle donne, perfino in chiave poliziesca, la ricacciata degli uomini negli angusti antri di una vita da fuchi.

Nostro è il compito di scoprire la legge che dirige il flusso degli avvenimenti costitutivi l’attuale mondo della libertà. Sicuramente la libertà femminile ne è un elemento, ma non quello principale. Fra il seicento ed il settecento nacquero movimenti rivoluzionari dai quali scaturiscono, oggi, comportamenti distorcenti gli obiettivi allora fissati. La rivoluzione francese tramite la ghigliottina aveva inferto colpi cruciali, tagliando parecchie teste regali: il risultato fu che dopo una decina d’anni i francesi non si accontentarono più di un Re ma vollero un Imperatore!. I milanesi, che dovettero sopportare il potere dei francesi per alcuni anni, dicevano “fraternité, liberté, egalité, lur en carossa e num a pè” (“fraternità, libertà, uguaglianza: loro in carrozza e noi a piedi”). Più determinante l’avvio del mondo industriale in Inghilterra. Fino alla metà del Novecento esso si è configurato come il mondo della “produzione”, in cui si sono confrontati e scontrati gli ideali comunisti e gli obiettivi capitalisti. Questa battaglia è stata vinta dal mondo capitalista, che è stato capace di trasformare il mondo della “produzione” nel mondo della “produttività”; dal mondo dei capi al mondo dei manager. I “capi” erano una elite inamovibile: la produzione era al servizio del loro potere; i “manager” sono dei professionisti al servizio della produttività; se essi non sanno promuoverla ed incentivarla a dovere, vengono simbolicamente ghigliottinati, ed è in azioni del genere che la rivoluzione francese ha dato il suo vero insegnamento. Vediamo cosa è successo in Cina, unico stato con strutture governative comuniste considerato oggi da noi occidentali vincente: in quel paese l’uomo della lunga marcia e soprattutto il giovane già guardia rossa sono stati inseriti nelle fabbriche ad alta produttività a montare gli “iPad”, poi venduti dall’americana Apple. Ed inoltre, a costruire le stesse automobili in quantità superiore alla produzione americana, essendo poi invitati a comprarle e guidarle e formare, infine, code enormi sulle per ora esigue autostrade cinesi. Lo stesso è accaduto per la nostra piccola rivoluzione “domestica” del ’68, che aiutò il mondo a cambiare offrendo essenzialmente solo dirigenti giovani ed intelligenti alle aziende produttive!. E come spiegarsi che dall’azione svolta dalle femministe in Duomo che gridavano ”tremate , tremate le streghe son tornate” la pensione che a quei tempi le donne raggiungevano a 50 anni oggi la ottengono a 65. Come volevasi dimostrare i risultati furono contrari ai propositi originari.

Se vi è un regista dietro a questi avvenimenti, bisogna credere che abbia una fantasia almeno doppia di quella di Fellini. Perdonatemi la mia visione ingenua: credo fermamente che in questo trionfo della produttività ci sia la mano del “Buon Dio”. Questa mia convinzione mi aiuta a sperare che nella produttività ci sia anche del buono. Inizialmente analizziamo insieme cosa c’è di insano.

Prendiamo in esame la famiglia: l’incontro sacrale (come intese a suo tempo lo stesso Platone) fra l’atomo uomo e l’atomo donna ha costituito la molecola famiglia. Sicuramente questa unione ha avuto il compito di dare dignità alla paternità maschile, dignità che la madre possiede in modo naturale, come un archetipo. Nei tempi antichi il compito paterno era svolto dal fratello della madre: l’uomo non conosceva la propria paternità. Oltre ad onorare il padre, fra i compiti principali della molecola famiglia vi è quello di avere figli e di educarli. Questo compito è facilitato se esiste un buona armonia all’interno della molecola.

L’azione della produttività soffoca questi elementari principi di buon funzionamento della famiglia.

Difficoltà di carriera per le spose; impegni troppo gravosi di lavoro impediscono incontri con i figli e addirittura producono la separazione delle coppie. Risultato: si generano pochi figli; i matrimoni falliscono. Il mondo non si muove per fornire aiuti alle famiglie ma le famiglie per contro sono assoggettate a seguire gli imperativi del mondo della produttività (vedi l’azione della pubblicità e della televisione). La molecola famiglia è troppo piccola per confrontarsi con il mondo esterno. Pensate l’aiuto che i nonni potrebbero offrire. Alcune famiglie hanno procreato confidando nel solo aiuto dei nonni. Penso che in futuro si presenteranno avvenimenti che costringeranno le molecole famiglia a costituirsi in “cellule” familiari: più famiglie insieme legate fra di loro da vincoli che le associano.

Se nel futuro (penso non vicino) le famiglie saranno obbligate ad allearsi, oggi quello che possiamo fare è indicare le leggi di comportamento ed i vincoli fondamentali che devono costituire il loro statuto. Io ho riflettuto su questi argomenti e mi sento di poterli comunicare solo previa avvertenza, verso i lettori, delle mie scarse e spesso fallibili capacità divinatorie. Faccio un esempio: dopo aver visitato gli Stati Uniti, recentemente ho fatto un viaggetto nei paesi dell’est. Rientrai convinto che prima o dopo sarebbe successo qualche cosa che avrebbe modificato lo stile di vita statunitense: già allora ritenevo eccessive le condizioni di stress e frenesia che vi avevo trovato. Al contrario ritenevo tranquillo il mondo comunista. Naturalmente, dopo alcuni mesi il mondo sovietico è andato in briciole e quello statunitense ha preso il comando solitario degli avvenimenti mondiali.

Le famiglie nel costituirsi cellule devono pensare di entrare in convento. Affermo questo per due ragioni: nei conventi la chiesa ha trovato gli argomenti e la forza per arrivare fino ai tempi nostri; inoltre bisogna salvaguardare la sacralità della famiglia perché alcuni componenti di essa possono averne bisogno. Sicuramente il padre, se si offusca l’azione del Buon Dio, perde in dignità, ma soprattutto i fanciulli, i quali devono necessariamente fare incontri tipo: l’angelo custode, la preghierina della sera, i buoni proponimenti, etc…, per poter crescere sereni e interiormente forti.

Gli attori (atomi) della famiglia cellula si dividono in:

– maschi o femmine

– singoli, singoli genitori, coppie, coppie genitori

– bambini, giovani, adulti, anziani

– lavoratori esterni, lavoratori interni

– responsabili di azioni all’interno della cellula

Dobbiamo decidere, per ogni atomo della famiglia-cellula, quali devono essere i comportamenti nei confronti di tutti gli altri operatori e cosa nel suo complesso la famiglia si attende dalla sua attività. Espongo alcuni di questi punti statutari chiedendo ai lettori della lettera z l’impegno, anzi direi l’obbligo, di completare il mio lavoro:

  1. singoli o coppie che vogliono avere figli, devono poterli fare venire al mondo e ricevere l’aiuto della comunità a mantenerli ed educarli. Deve essere professata una religione unica da cui trarre gli insegnamenti religiosi da dare ai bambini (fino agli otto/dieci anni). I giovani, gli adulti e gli anziani non interessati a scelte religiose non devono avere atteggiamenti che complicano l’insegnamento religioso dei bambini. I limiti nel numero di bambini che una donna può fare sarà deciso dalle comunità al momento della loro costituzione. Io fisserei il limite a ventisette bambini, in ricordo di mio bisnonno che per permettermi di nascere è arrivato al ventisettesimo colpo per procreare mia nonna!. La regola religiosa la fisso perché ritengo che se si desidera avere un figlio musicista non si può aspettare che abbia 40 anni per insegnargli come si mettono le mani sulla tastiera del pianoforte. Idem per aiutare il piccolo a mettere le mani sulla tastiera della vita bisogna che acquisisca meccanicamente il senso del divino. Quando ero piccolo il Natale era annunciato da una luce che appariva sulle finestre che davano sulla ringhiera e che indicava l’arrivo di Gesù Bambino. Non vi dico la mia delusione quando, diventato più grande, mi accorsi che la luce proveniva semplicemente da una fantesca che sorreggeva una candela. Comunque ancora oggi quando vedo una candela accesa mi emoziono, e non è poco di questi tempi!
  2. Gli anziani non devono essere consegnati esclusivamente in mani mercenarie. Giovani e adulti devono frequentarli, imparare a curarli, direi tentare di amarli.

Io mi fermo qui, perché curare i vecchi, fare figli, preoccuparsi della loro educazione saranno gli atti fondamentali della famiglia cellula.

Soffermiamoci, invece, sul rapporto tra il mondo della produttività e la nostra comunità che immaginiamo costituita da un centinaio di elementi. Oggi 50 famiglie come minimo posseggono 100 macchine che normalmente sono ferme nei posteggi e quando camminano sono occupate da una sola persona. Gli spostamenti in una comunità possono essere organizzati ben più efficacemente: alcuni taxisti interni potrebbero occuparsi dei trasporti nelle ore di punta (impegno da affidare anche ai giovani a cui piacerebbe moltissimo) usando piccoli pulmini. Prevedo facile l’ accordarsi per viaggiare insieme e migliorare il riempimento medio delle vetture. Il risultato di una organizzazione dei trasporti più efficiente permetterebbe di risolvere ogni problema di trasporto di un gruppo di 50 famiglie con meno della metà delle macchine usate oggi .

Avere i figli che si desiderano, rendere più confortevole la vita agli anziani, acquistare solo i prodotti che servono sono atti che modificano la nostra esistenza. Vediamo come il mondo della produttività potrebbe essere cambiato.

Recentemente si è verificato un avvenimento che ha la caratteristica di fatto miracoloso, soprattutto ai miei occhi di lavoratore di una azienda americana: il governo statunitense con la sua massima autorità, il presidente, ha offerto a un italiano manager di una azienda italiana il compito di salvare una azienda americana di nobile tradizione utilizzando tecnologia e intelligenza organizzativa italiana. Gli attori dell’avvenimento, oltre al famoso presidente leggermente abbronzato, sono: la Chrysler, i sindacati dell’azienda, la Fiat ma soprattutto Marchionne. Il premio, se l’operazione avrà felice esito, sarà la proprietà per la Fiat del 51% della Chrysler a fronte di una spesa minima: un vero regalo.

Dopo un anno dall’inizio dell’impresa Marchionne dopo aver preso decisioni drastiche in America: licenziando operai; retribuendo i nuovi assunti meno dei veterani; chiudendo concessionari inutili; eliminando sconti; e, pur riducendo la produzione, sta cominciando ad ottenere guadagni; costruisce macchine più belle e inserisce per i nuovi progetti direttive per il connubio complementare dei prodotti delle due aziende. L’apoteosi è raggiunta quando riceve gli attestati direi quasi di amore dei sindacati americani. Bisogna ricordare che una operazione simile era stata tentata da Marchionne in Germania per la Opel e che in una sua recente intervista al giornale “La Repubblica” spiega che il mancato accordo è da addebitare ai tedeschi che non si fidano degli italiani. Ricordo che qualche cosa di simile era successo anche alla Pirelli in Germania e all’ing. De Benedetti in una operazione franco-belga.

Da vecchio sindacalista vorrei dire ai miei confratelli di oggi che Marchionne non può agire negli Stati Uniti con la scure e non tirare le orecchie ai lavoratori italiani per qualche loro peccatuccio.

In un mercato concorrenziale all’ultimo sangue dove i concorrenti hanno ricevuto aiuti cospicui dai loro governi è inimmaginabile fare un’opera di bene tenendosi la fabbrica in Sicilia. Marchionne deve mostrare di agire in Italia seguendo gli stessi principi che hanno condizionato la sua azione al di là dell’Atlantico altrimenti rischia il fallimento.

Ho descritto un momento di vita del mondo della produttività e dobbiamo augurare al giovanotto di continuare a fabbricare automobili efficienti e belle come ha mostrato di saper costruire. Quello che non possiamo chiedergli è di produrre qualche cosa di più utile. Questo potremmo pretenderlo se smettessimo di essere famiglie automobili-dipendenti; se riuscissimo a defilarci dall’essere utenti di un mercato al servizio del mondo produttivo.

Se il regista di tutti questi avvenimenti è il Buon Dio, come io auspico, si deve sperare che tutto questo affanno a produrre macchine che non sono indispensabili, nasconda in sé la necessità futura di essere capaci di costruire macchine veramente necessarie alla sopravvivenza del mondo.

Il nostro compito, con qualche aiuto dal cielo, è far sì che il sogno di Marchionne si modifichi leggermente per produrre negli stabilimenti Fiat-Crysler non più belle automobili ma robuste astronavi, o, per lo meno, macchine che non rovinino la bellissima astronave attualmente in uso: la nostra Terra.